Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  martedì 03 gennaio 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Elezioni parlamentari a Gaza: il referendum sul futuro palestinese

di Guido Bedarida

Forse non saranno in molti ad averlo notato ma Israele ed i territori amministrati dall'Autorità Nazionale Palestinese negli ultimi tempi sono scomparsi  quasi del tutto dalle cronache di giornali e televisione, quelle poche notizie asettiche che filtrano sugli attentati (in Israele) citano a stento le vittime mentre gli scontri nei "territori" tra forze di polizia palestinesi e Hamas rimangono brevissime note a margine dei notiziari in cui non si concede assolutamente alcun particolare.

 

Il motivo di tutto questo è semplice, il quadro della situazione nelle zone sotto controllo ANP è sconfortante ma i nostri media (rigorosamente filopalestinesi) non possono ammetterlo: in Cisgiordania, appena una settimana fa, il municipio di Betlemme è stato oggetto di un assalto terroristico di cui i giornali non hanno fatto cenno; appartiene invece alla quotidianità il fatto che i negozi di cittadini di religione cristiana siano oggetto di atti di vandalismo ed incendi (e le cose peggiorano nel periodo del Natale), e non è certo un caso che la popolazione di religione cristiana sia oggi un terzo di quella del 1995, anno del passaggio del controllo di Betlemme da Israele all' ANP.

 

Nella striscia di Gaza, a diversi mesi ormai dallo sgombero di tutti gli abitanti di religione ebraica e dalla completa cessione del controllo del territorio da parte di Israele, regna il caos e l'anarchia.

 

I terroristi si danno molto da fare ma è sul Presidente palestinese Abu Mazen che grava la maggior parte della responsabilità della situazione; egli, dopo aver perso tutte le occasioni di imporsi ed accreditarsi come leader vero (l'ultima è stata il non voler concordare le tappe del ritiro israeliano né garantirne la sicurezza) non ha neppure vagamente idea di come sbrogliare la matassa che lo vede in difficoltà sempre maggiore anche rispetto ad un elettorato che tra breve sarà chiamato ad eleggere il parlamento.

 

A Gaza infatti accade di tutto: locali frequentati da funzionari ONU vengono fatti saltare in aria perché vi si bevono alcolici, missili Kassam piovono quotidianamente su Israele lanciati proprio da Gaza, nelle strade gli scontri a colpi di mitra tra polizia e bande armate più o meno identificabili sono ordinaria amministrazione mentre capi terroristi, fuggiti in precedenza perché ricercati dagli israeliani, oggi si infiltrano indisturbati dall'Egitto per impossessarsi di fette di territorio e pianificare attentati.

 

In una situazione del tutto fuori dal controllo delle autorità si inseriscono anche episodi quasi comici, pur nella loro drammaticità, che danno l'idea di quanto in Europa non ci si renda conto della situazione e si contribuisca attivamente ad aumentare la confusione; tra questi può essere annoverato quello, conclusosi poche ore fa fortunatamente senza conseguenze, del rapimento dell'italiano al seguito della parlamentare di Rifondazione Comunista Luisa Morgantini.

Dopo la liberazione il "pacifista" ha rilasciato dichiarazioni sconcertanti (tra le altre cose queste sono le uniche informazioni vere concesse dai giornali sul fatto), affermazioni che è utile riportare: "Nonostante quanto mi è successo credo e continuerò a credere che l'occupazione israeliana di Gaza sia criminale".

 

Il ragazzo, autodefinitosi "eroe per caso" (definizione incomprensibile a meno che essere "vittima" dei "resistenti" non sia fatto di cui gloriarsi), è probabilmente andato nella zona pensando di fare una passeggiata in mezzo ad amichevoli "compagni" palestinesi, il nostro evidentemente ignora che Israele non ha più nulla a che fare con il controllo di Gaza, allora è bene che qualcuno ricordi all' "eroe" che le violenze di cui è stato vittima si devono al fatto che il Presidente palestinese ha fermamente rifiutato di disarmare i gruppi terroristici che lo detenevano.

 

Tale ennesimo rapimento "lampo" (quest'anno sono stati oltre trenta quelli che hanno riguardato cittadini stranieri) è l'ulteriore dimostrazione di forza (indirizzata anche all'estero) dei gruppi di potere esterni all'ANP, che così conducono una sorta di campagna elettorale parallela a quella ufficiale caratterizzata dalle promesse di spazzare via Israele e concedere soldi alle famiglie dei terroristi suicidi (cose entrambe già ampiamente messe in pratica); una campagna elettorale che pare funzionare egregiamente visti i numerosi e larghi successi del gruppo terroristico Hamas nelle recenti elezioni per i distretti comunali dei "territori".

 

Ed i cittadini palestinesi che conoscono bene questa realtà (che i nostri media invece ci negano) forse per la prima volta dopo molto tempo avranno davvero la possibilità di indicare (pur in elezioni non ancora democratiche) quale direzione vogliono prendere, quale futuro e quale prospettiva preferiscono dare a loro stessi ed ai loro figli.

In questo quadro infatti le elezioni parlamentari nei territori amministrati dall'ANP assumono il significato di un referendum, il referendum tra chi vuole la pace e chi preferisce la guerra ed il terrorismo.

 

Chi, tra i cittadini palestinesi, voterà Abu Mazen darà vita alla possibilità di pace con Israele e rafforzerà il Presidente palestinese, chi voterà Hamas ed il suo populismo assassino sceglierà la strada della guerra, della volontà di distruzione di Israele.

 

Con la vittoria di Hamas non si avrà possibilità di appello, Abu Mazen sarà spazzato via e Gaza diverrà definitivamente zona franca del terrorismo internazionale. Nel caso invece prevalga il presidente palestinese i pericoli e le difficoltà saranno ancora molte, ma vi saranno speranze che il processo di pace in qualche modo prosegua.

 

Abu Mazen dovrebbe in tal caso cominciare una azione volta ad eliminare il terrorismo e seguire la Road Map che comunque non sarebbe sufficiente a garantire un futuro di pace, l'attuale altissimo rischio di sconfitta dello stesso Abu Mazen è ulteriore prova sia della inadeguatezza del leader palestinese sia del piano americano.

 

Vi sarebbe però una nuova possibilità (tutta da costruire) per puntare su ulteriori mezzi necessari alla democratizzazione (e non solo all'indipendenza palestinese) che adesso latitano quasi completamente; purtroppo la situazione è ampiamente compromessa ed il quadro attuale rende molto difficile essere ottimisti sull'esito del voto e sul futuro palestinese.

Â